SENATO - Dalla Commissione Affari Costituzionali via libera alla riforma sul premierato. Casellati: "Parola fine a inciuci, giochi di palazzo e governi tecnici"

SENATO - Dalla Commissione Affari Costituzionali via libera alla riforma sul premierato. Casellati:

Primo SI della Commissione Affari Costituzionali del Senato alla riforma costituzionale del premierato dopo 5 mesi dall'avvio dei lavori con il via libera al relatore Albero Balboni a riferire in Aula. La Conferenza dei capigruppo dovrà ora calendarizzare il provvedimento in Aula. Il testo è stato approvato con i voti favorevoli di FdI, FI, Lega e Autonomie. Contro il ddl Casellati hanno votato Pd, M5s e Avs, mentre Italia Viva si è astenuta. Dura la reazione delle opposizioni. L'astensione di IV, che si era sempre dichiarata a favore dell'elezione diretta del premier, è stata giustificata dalla senatrice Dafne Musolino, con l'obiezione che governo e maggioranza abbiano mostrato una chiusura agli emendamenti che cercavano di introdurre i contrappesi. Alessandra Maiorino del M5s, ha addirittura parlato di "carica di tritolo sotto la nostra architettura costituzionale". Ma la maggioranza tira dritto, "Con il premierato si dà più peso alla sovranità dei cittadini che finalmente sceglieranno da chi essere governati, mai più ribaltoni o governi anomali e più stabilità con conseguenze positive anche per l'economia nazionale" spiegano i componenti di Fratelli d'Italia della Commissione Affari Costituzionali del Senato, Alberto Balboni, presidente della Commissione, Costanzo Della Porta, Andrea De Priamo, Marco Lisei, Marcello Pera e Domenica Spinelli. Anche Casellati, madre del ddl che porta il suo nome è soddisfatta: "Governo e maggioranza hanno onorato questo importante esercizio democratico con la massima attenzione e apertura al dialogo, abbiamo ascoltato costituzionalisti e opposizioni senza pregiudizi e con spirito costruttivo, accogliendo diverse osservazioni. Presto gli italiani potranno scegliere direttamente il loro presidente del Consiglio mettendo la parola fine a inciuci, giochi di palazzo e governi tecnici".

La riforma introduce il cosiddetto "premierato", inteso come un rafforzamento della rappresentatività e della stabilità del Capo del Governo, che viene eletto direttamente dai cittadini contestualmente all'elezione delle Camere e il cui mandato dura cinque anni (com'è la
durata della legislatura). Parallelamente, la Costituzione introduce dei vincoli al sistema elettorale volti, complessivamente, alla formazione di una maggioranza di governo stabile e duratura. Formalmente entrano in Costituzione i due criteri guida di qualsiasi legge elettorale:
La rappresentatività, cioè l'idoneità delle Camere a rispecchiare la pluralità di partiti e movimenti politici presenti nel territorio. La rappresentatività è senz'altro incentivata da sistemi elettorali proporzionali, in cui a fronte di una data percentuale di voti ottenuti, la lista elettorale ottiene un'eguale percentuale di seggi in Parlamento, salvo correttivi come le soglie di sbarramento, i premi di maggioranza ecc. (principio del "tanti voti, tanti seggi");
La governabilità, cioè l'agilità con cui nelle Camere si forma una maggioranza in grado di dare la fiducia al Governo ed approvare i provvedimenti che attuano il suo indirizzo politico. La governabilità è generalmente favorita dai sistemi elettorali cd. maggioritari, in cui il territorio nazionale viene diviso in collegi, in ciascuno dei quali viene attribuito il seggio al candidato più votato, con dispersione dei voti restanti (principio del "chi prende un voto in più, vince").
Tra i due criteri, la riforma sembra favorire la governabilità, dal momento che si prevede l'attribuzione di un premio di maggioranza pari al 55% dei seggi di ciascuna Camera alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei ministri che risulti eletto (facendo i conti,
risultano 220 seggi alla Camera e 110 seggi al Senato, salva la variabile dei Presidenti emeriti della Repubblica).
Si delinea così un sistema in cui ogni partito o coalizione deve designare in anticipo il candidato Premier il quale, se risulterà il più votato, garantirà la maggioranza parlamentare ai propri sostenitori.

Modifica dell'articolo 92 della Costituzione: il presidente del Consiglio "è eletto a suffragio universale e diretto per 5 anni, per non più di 2 legislature consecutive". Possono diventare 3 se nelle precedenti 2 il premier ha ricoperto l'incarico "per un periodo inferiore a 7 anni e 6 mesi". Le elezioni delle Camere e del capo del governo avvengono "contestualmente". Una successiva legge elettorale regolerà il sistema "assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività". Questo dovrà avvenire nel rispetto del principio di "tutela delle minoranze linguistiche".

Il presidente della Repubblica "conferisce al presidente del Consiglio eletto l'incarico di formare il governo" e "nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri". La novità è che non nomina più il presidente del Consiglio come avviene oggi, e può revocare su richiesta di quest'ultimo un ministro. In questo modo non potrà incaricare un tecnico.

La norma antiribaltone: Entro 10 giorni dalla formazione il governo deve ottenere la fiducia delle Camere, altrimenti il presidente della Repubblica rinnova l'incarico al premier eletto e in caso di fallimento scioglie il parlamento e si torna al voto. Con l'emendamento approvato, se una delle Camere revoca la fiducia vengono sciolte ambedue, se il premier si dimette entro 7 giorni può chiedere al Quirinale lo scioglimento. Se non esercita questa facoltà per vari motivi (o in caso di morte o impedimento permanente), il Capo dello Stato può decidere di dare l'incarico di formare un nuovo governo o al premier dimissionario o a un altro parlamentare della stessa maggioranza. Questo, solo una volta in una legislatura, per evitare governi con maggioranze diverse.

Eliminazione dei senatori a vita: La riforma propone di eliminare il potere del presidente della Repubblica di nominarli. Quelli in carica non perdono il loro seggio. In commissione è stato solo cambiato il titolo dell'articolo.

Elezione del presidente della Repubblica: Avverrà, secondo il testo, a maggioranza dei 2 terzi dell'assemblea, ma dopo il sesto ( e non più il terzo) scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta, ossia la metà più uno dei membri dell'assemblea.

Modifica al semestre bianco: Negli ultimi 6 mesi del mandato il presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere, ma viene aggiunto "salvo che lo scioglimento costituisca atto dovuto". Eliminata la possibilità di sciogliere una sola delle due Camere.


Redazione PrimaPagina


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