Nell'ipotesi in cui il contribuente abbia omesso la presentazione della dichiarazione e l'Amministrazione abbia provveduto all'iscrizione a ruolo a seguito di controllo formale, il contribuente può opporre direttamente alla cartella l'esistenza del credito fiscale, senza necessità di procedere in separata sede con una specifica istanza di rimborso.
Questo è l'importante principio di diritto, espresso dalla Suprema Corte, nella sentenza Cassazione Civile, Sezione Tributaria, n.25288 del Sezione Tributaria del 09/10/2019.
Nella sentenza, peraltro, non si fa altro che ribadire il precedente consolidato orientamento (anche in ossequio a quanto affermato in ripetute occasioni dalla stessa Corte di Giustizia UE): la dichiarazione è emendabile in sede contenziosa e, se il credito esiste, la sostanza prevale sulla forma.
Come noto, allorquando il contribuente intenda far valere i crediti tributari da lui vantati nei confronti dello Stato al fine di compensare (totalmente o parzialmente) delle pretese impositive in sede contenziosa, l'Agenzia delle entrate, in modo del tutto ingiustificato, pretende che vengano prima corrisposte le somme accertate, obbligando detto contribuente a procedere semmai con l'istanza di rimborso per quanto a lui dovuto dall'Erario. Questo modus operandi è stato in più occasioni cassato dalla Giurisprudenza di Legittimità (si veda per tutte: Cassaz. SS.UU. 13378/2016: "In caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, il contribuente può, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell'Amministrazione finanziaria").
Del resto, così come è legittimo per il Fisco (anche se decaduto dalla potestà accertativa) contestare un proprio debito se è destinatario di una richiesta di rimborso di un credito di imposta, non si comprende perché lo stesso diritto non debba a parti invertite essere riconosciuto analogamente pure in capo al contribuente, il quale sia in grado di documentare la certezza dei propri crediti.
Laddove, infatti, il contribuente si attenga agli obblighi formali-contabili prescritti dalla normativa interna, grava sull'Amministrazione fiscale (che intenda disconoscere il diritto a detrazione, negando la corrispondenza della realtà effettuale a quella rappresentata nelle scritture contabili) l'onere della relativa contestazione e della consequenziale prova. Solo nel caso in cui detto contribuente non si sia attenuto a tali prescrizioni formali e contabili disciplinate dall'ordinamento interno, l'onere della prova, a fronte della contestazione di omissioni o irregolarità, farà carico allo stesso contribuente.
In base alle norme di diritto comunitario, ciò che conta ai fini della detraibilità è solo il carattere sostanziale ed effettivo del credito: ossia, l'effettività degli acquisti da un soggetto passivo e l'utilizzazione di detti beni per finalità proprie (operazioni imponibili).
Altra questione è la violazione formale derivante dall'omessa dichiarazione IVA, che però non implica l'impossibilità di detrazione nel caso in cui vi siano ulteriori prove a sostegno della concreta esistenza del credito. Il giudice tributario dovrà pertanto riconoscere il credito IVA se il contribuente dimostra che sostanzialmente ha diritto alla detrazione.
In definitiva, il contribuente deve dimostrare che, in quanto destinatario di transazioni commerciali, è debitore dell'IVA e dunque titolare del diritto di detrarre l'imposta (Cass., Sez. 5, n. 7576 del 2015).
Inoltre, tali precetti non possono che essere parimenti recepiti e applicati anche in materia di imposte dirette, e non solo con espresso riguardo ai tributi armonizzati.
In conclusione, quindi, da un lato, in caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, è consentito all'Ufficio di iscrivere a ruolo l'imposta detratta ed emettere la cartella di pagamento mediante le usuali procedure automatizzate, sulla base del mero controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e non comporti profili valutativi e/o estimativi, né specifici atti d'indagine diversi dal solo raffronto con dati ed elementi dell'anagrafe tributaria (ex artt. 54-bis e 60, DPR 633/1972). Da altro verso, il contribuente, nel successivo giudizio di impugnazione della cartella, ha ogni possibilità di dimostrare che la deduzione d'imposta, eseguita entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, riguardi acquisti fatti da un soggetto passivo d'imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili; e che, pertanto, trattasi di credito certo che può essere opposto in parziale o totale decurtazione delle pretese dell'Ufficio, senza necessariamente essere obbligati a presentare al riguardo un'apposita separata istanza di rimborso.
Ciò ribadito, rispetto però alle precedenti decisioni, la pronuncia in argomento risulta particolarmente rilevante poiché, in accoglimento del ricorso incidentale presentato dal contribuente, enuncia taluni ulteriori fondamentali principi di diritto che, fino a oggi, non avevano mai trovato concreta considerazione.
Innanzitutto, se il credito esiste, non hanno ragion d'essere né le sanzioni e né i relativi interessi. D'altronde, gli interessi sul debito tributario, in ipotesi di compensazione con un credito del contribuente, possono essere imputati soltanto fino al momento della nascita del credito stesso.
Inoltre, se il credito può essere utilizzato, va da sé che non possono essere richieste nemmeno le sanzioni da omesso versamento, ex art. 13, DLGS 471/1997.
Su tali basi, il Collegio giudicante ha deciso la controversia anche sul merito, procedendo ad annullare direttamente la cartella in contestazione.
Articolo a firma di:
Paolo Soro(Commercialista e Revisore Legale in Cagliari, Roma, Milano e Venezia Mestre)
Angelo Ruggiero (Vice Presidente nazionale CEPI, esperto scientifico MIUR, docente SSM)