Il contrasto all'evasione fiscale è sempre stato un tema di attualità nell'ambito delle azioni dei Governi che si sono succeduti nella storia.
Oggi lo è ancor di più in considerazione che il DEF proposto dall'attuale esecutivo prevede un recupero di oltre 7 miliardi di euro dalla lotta all'evasione, prospettiva che molti hanno definito addirittura utopistica e che, più realisticamente, anche in considerazione dell'esperienza, sarebbe più realistico, direi meno offensivo, definire ambiziose.
Non vi è dubbio che per comprendere veramente il fenomeno evasivo è necessario operare una suddivisione tra fattori che incidono sulla volontà di evadere, cioè che in qualche modo inducono ad evadere, e fattori che incidono sulla possibilità di evadere.
I primi possono essere inquadrati nell'ambito di un generale giudizio che il contribuente ha del rapporto stato/cittadino, cioè di una visione non equa del fisco rispetto ai servizi che lo stato eroga. Rientra in questa fascia anche la c.d. evasione fisiologica, quella cioè che dipende dalla "necessità" di evadere: si pensi all'artigiano, al piccolo commerciante, al libero professionista, insomma al lavoratore autonomo che tra imposizione diretta, indiretta e pressione contributiva vede erodersi, spesso a dismisura, il frutto del proprio lavoro.
I secondi, invece, si collocano nell'ambito di una evasione, per così dire, studiata a tavolino, fattori cioè che trovano il loro presupposto in una condotta antidoverosa messa in atto in esecuzione di un disegno preordinato volto a conseguire quale vantaggio proprio le imposte e, sovente, i contributi previdenziali.
Oltre alla fatturazione elettronica, al reverse charge e allo split payment, numerosi sono gli strumenti proposti per tentare di comprimere il rischio evasione legata ai primi fattori. Si pensi su tutte alle misure di incoraggiamento all'utilizzo della moneta elettronica in luogo del contante. Indubbiamente iniziative meritevoli di approfondimento e, in linea generale, condivisibili.
Non altrettanto apprezzabili, con riferimento ai risultati raggiunti, sono state fino ad oggi le iniziative volte alla riduzione della grande evasione, quella cioè frutto dell'attività criminale e delle grandi imprese. Su tale versante si ritiene che il sistema normativo, benché complesso e pregno anche di norme antievasione, non pone, come in realtà dovrebbe, i giusti limiti a condotte fraudolente.
Come noto tra i tributi (e contributi) evasi svolge un ruolo molto importante l'IVA che da sola costituisce un tax-gap di circa il 35% del monte evasione stimato.
Come gli specialisti sanno, tra i fenomeni evasivi più rilevanti vi sono quelli che si riconducono alle attività illecite poste in essere dalle cosiddette società cartiere, quelle cioè che prive di una anche minima organizzazione produttiva si limitano a confezionare fatture false, anche solo soggettivamente, consentendo a realtà economiche apparentemente virtuose di godere illegittimamente della detrazione dell'IVA addebitata nonché ad evitare il peso contributivo che grava sugli stipendi del personale dipendente, in forza solo formalmente alle cartiere. E' il caso, ad esempio, di quelle società che svolgono servizi in favore del committente consapevole ben sapendo di non versare le imposte e i contributi previdenziali che maturano per effetto della gestione, società che vengono mandate alla deriva cariche di debiti erariali nel volgere di due/tre anni.
Gli ideatori di tali iniziative si servono di soggetti c.d. teste di legno, cioè di soggetti, quasi sempre nullatenenti e pregiudicati, su cui far ricadere le responsabilità della frode in cambio di un corrispettivo.
Quasi ogni giorno le cronache segnalano gli importanti successi raggiunti dalla Guardia di Finanza che, svolgendo una encomiabile attività repressiva, scova imponenti fenomeni evasivi. Tuttavia spesso l'intervento delle fiamme gialle giunge quando ormai le prospettive di incasso delle imposte evase sono enormemente ridotte.
Ecco allora che non si può non convenire che la soluzione debba essere preventiva.
A parere di chi scrive si deve cominciare a ragionare nel senso di impedire per legge che realtà criminali possano addirittura nascere attraverso una attenta attività filtro, magari svolta dagli ufficiali roganti prima e dal conservatore del registro delle imprese poi, che possa porre un limite invalicabile alla costituzione delle società cartiere e all'eventuale escamotage di costituire una società con un organo amministrativo "degno" per poi sostituirlo a stretto giro con un semplice verbale di assemblea.
Insomma creare un sistema informativo, più penetrante rispetto a quello offerto dal Registro Imprese, che possa consentire a chi venisse affidata l'attività di controllo preventivo di individuare ab origine l'opacità di determinate iniziative e, pertanto, di potersi opporre.
La speranza è che si possano creare i presupposti affinché la lotta all'evasione fiscale benefici finalmente di un cambio di marcia con l'esaltazione della fase preventiva volta ad impedire la commissione di fatti evasivi relegando a quella repressiva un numero di casi via via sempre più decrescente. La riforma del codice della crisi e dell'insolvenza sembra andare in questa direzione.
Redazione