MONTECITORIO, Intervento del Presidente Meloni all'incontro “La Costituzione di tutti. Dialogo sul premierato”

MONTECITORIO, Intervento del Presidente Meloni all'incontro “La Costituzione di tutti. Dialogo sul premierato”

Intervento presidente Meloni: "Buonasera a tutti,
davvero grazie, ringrazio la Fondazione De Gasperi e la Fondazione Craxi, i Presidenti Alfano e Boniver, per aver voluto organizzare questa iniziativa così autorevole, grazie per l'invito a prenderne parte. Saluto il Presidente Fontana, e lo ringrazio anche per ospitarci, saluto il Ministro Alberti Casellati, tutte le autorità, tutte le persone presenti. Voglio soprattutto ringraziare i nostri autorevoli relatori, il Professor Orsina, il Professor Clementi, la Professoressa Poggi, il Presidente Violante, grazie a Maria Latella, davvero è stato un dibattito molto molto importante, molto interessante, e soprattutto è stato un dibattito all'altezza di quello che ci si aspetta da un dibattito intorno al tema della Costituzione, molto prezioso anche per chi poi deve politicamente prendere delle decisioni. Voglio ringraziare gli organizzatori di questo evento, salutando le autorità ma soprattutto gli imprenditori, i professionisti, gli accademici, gli scienziati, gli artisti e gli sportivi che sono oggi in questa sala: la composizione di questa sala è uno spaccato molto bello e la scelta che il presidente Alfano e la Presidente Boniver hanno fatto organizzando una iniziativa il cui titolo è "La Costituzione di tutti. Dialogo sul premierato", cioè un confronto sulle riforme istituzionali, che normalmente si considera essere circoscritto agli addetti ai lavori, e invece far partecipare a quel dibattito una platea fatta di personalità che rappresentano l'impresa, la cultura, lo sport, l'Italia che produce, la considero una scelta intelligente perché, come dice il titolo di quest'evento, la Costituzione, ciò che sancisce il modo in cui articola il funzionamento delle Istituzioni repubblicane, non riguarda affatto solo gli addetti ai lavori.

Noi dobbiamo soprattutto partire da qui, cioè la Costituzione delinea i principi, i valori, le forme entro le quali la nostra Nazione - in tutte le sue articolazioni - cresce e si sviluppa, anche e soprattutto dal punto di vista economico, sociale, culturale.

Ecco perché la Costituzione è di tutti, partiamo da qui, perché tocca tutti, nessuno escluso, e a tutti fornisce gli strumenti per orientare ciò che ognuno decide di realizzare nella propria vita: fornisce gli strumenti a chi, come me, ha scelto l'impegno politico, ai chi invece si è dedicato all'impresa, alla produzione, alla ricerca, allo sport. La Costituzione è di tutti perché delinea quel patrimonio comune di valori, di principi, di diritti e di doveri nei quali tutti ci riconosciamo e all'interno del quale le differenti posizioni devono trovare sempre un terreno comune di confronto.

Nata dalle rovine della guerra, la Costituzione nasce con l'obiettivo di far convergere forze e culture politiche diverse e antagoniste, i padri costituenti si posero il problema di pacificare il conflitto e di garantire pluralismo e libertà. È così riuscita a incanalare le profonde trasformazioni della società italiana, e a mantenerla unita nonostante tutto. Ha garantito la libertà e la democrazia nei passaggi più difficili, penso al contrasto al terrorismo, alla lotta alla mafia, e oggi sotto la sua guida affrontiamo il ritorno della guerra in Europa, in un altra incredibile stagione della nostra storia, una stagione che forse qualche anno fa non avremmo considerato possibile. La forza della nostra Costituzione è fondamentalmente impedire la lotta di tutti contro tutti, di essere il luogo, nel quale il nostro popolo si riconosce e riconosce al di là delle legittime differenze, la sua unità politica e sociale e qui veniva citato Valerio Onida negli interventi che mi hanno preceduto.

Valerio Onida scrive in modo molto autorevole che la Costituzione esprime ciò che è tendenzialmente stabile nella vita della società e ammette una pluralità di orientamenti e di scelte politiche diverse nel tempo, ma tutti i compatibili con i suoi principi. Ora questo vuol dire anche che la costituzione offre una cornice, fissa dei paletti, ma allo stesso tempo garantisce l'autonomia alla politica. E lo fa dando spazio alle scelte dei partiti, del Parlamento, del Governo, poiché si fonda sulla sovranità popolare, che è la principale fonte di legittimazione del sistema. Quindi nel quadro costituzionale si sviluppa la democrazia e la democrazia si poggia sul principio di maggioranza. Questa è la cornice entro cui noi lavoriamo.

E quando diciamo che la Costituzione esprime ciò che è stabile nella vita della società, però, non intendiamo dire che la Costituzione è un Moloch intangibile. Negli oltre 75 anni in cui la Costituzione è stata in vigore non è mai stata pietrificata, ma è vissuta dell'interpretazione che ne hanno dato e ne danno i diversi attori della nostra democrazia. Lo dico per dire che anche nell'attuale dibattito al quale assistiamo, chi ritiene di essere il depositario esclusivo della Costituzione ne mette, per paradosso, in crisi la funzione unificante che è propria della Costituzione: se la Costituzione deve essere di tutti, ed è di tutti, la sua interpretazione non può privilegiare una sola cultura politica o un solo punto di vista.

La Costituzione va letta e applicata in modo che tutti in essa si riconoscano. Oggi, in questa sala, abbiamo ascoltato un saggio di quella pluralità di culture politiche che hanno dato e danno vita alla Costituzione, che nella Costituzione si riconoscono, ma che della Costituzione prospettano declinazioni non sovrapponibili, pur nella condivisione degli stessi comuni principi. C'è chi ha posto l'accento su alcuni aspetti, chi su altri. Chi ha richiamato l'attenzione su talune forme istituzionali, chi su altre. Ripeto voglio ringraziare con sincerità i relatori, perché è questo tipo di dialogo - nel merito e nei contenuti dal quale emergono anche oggettive e interessanti questioni utili, soprattutto per la politica, è il dibattito che io mi auguro possa accompagnare l'iter di questa riforma, della quale oggi inizia l'esame nell'aula del Senato. Penso che sarebbe un errore approcciare a questi temi con un'impostazione ideologica, o legata a esigenze o a interessi contingenti, che è però purtroppo l'orientamento prevalente che vedo finora in questo dibattito.

Dall'altra parte, però penso anche che sarebbe un errore da parte della politica, di fronte a questo atteggiamento, indietreggiare e gettare la spugna. Per cui io credo che più noi riusciamo a stare nel merito e meno fondiamo questo dibattito su posizioni di partito preso e più possiamo arrivare a un testo, non so quanto condiviso - poi ci arrivo - ma magari migliore. Purché si parli del merito della questione.

Allora io parto dagli obiettivi che noi ci siamo posti con questa riforma. Come sapete la riforma ha il suo cuore e nell' elezione diretta del Presidente del Consiglio e sostanzialmente si pone due grandi obiettivi. Il primo di questi obiettivi è garantire il diritto dei cittadini di scegliere da chi farsi governare mettendo fine alla stagione dei ribaltoni, alla stagione dei governi tecnici, alla stagione della maggioranza arcobaleno, che nessuna corrispondenza hanno con il voto popolare. Ora qui voglio fare un breve inciso. Diceva prima la professoressa Poggi che nessun potere è assoluto, cioè neanche la sovranità popolare è un potere assoluto. Eppure nel dire che neanche la sovranità popolare è un potere assoluto, noi riconosciamo che la sovranità popolare è il potere preminente - articolo uno della Costituzione. Ora, uscendo ad un livello un po' più di attualità, cioè di questo dibattito, prendiamo ad esempio la scorsa legislatura. Il potere preminente è la sovranità popolare. Nella scorsa legislatura abbiamo avuto tre governi guidati da due Presidenti del Consiglio. Nessuno di quei due Presidenti del Consiglio aveva avuto alcuna forma di legittimazione popolare diretta, non si erano neanche presentati alle elezioni, hanno guidato due governi composti da maggioranze che erano formate da partiti che in campagna elettorale avevano dichiarato la loro alternatività, che era una parte del consenso acquisito da quei partiti.
Hanno realizzato programmi che nella loro interezza non sono mai stati sottoposti al vaglio dei cittadini e la fiducia a quei governi è stata votata da parlamentari che sono eletti con delle liste bloccate.

Ora, dall'essere un potere assoluto all'essere arrivati a una democrazia nella quale i cittadini non scelgono il Presidente del Consiglio, il programma, la maggioranza e neanche i parlamentari ci passa una bella differenza. Chiaramente, a scanso di equivoci, è tutto costituzionalmente legittimo, non voglio che poi si facciano le polemiche. È tutto costituzionalmente legittimo. Qual è il punto, secondo me? È che i padri Costituenti non potevano immaginarlo, perché era un altro mondo, perché le cose sono cambiate, perché ci troviamo in un'altra epoca. Ci sono delle cose che vanno inevitabilmente, noi lo possiamo prevedere, lo abbiamo visto accadere, ma allora lo possiamo anche correggere. Che è il punto che io mi pongo.
Allora il primo obiettivo, dicevamo, è quello di garantire che i cittadini abbiano voce in capitolo - e arrivo anche al tema dei parlamentari, perché penso che il Presidente Violante conosca la mia posizione su questo.

Il secondo obiettivo che noi ci siamo dati con questa riforma è assicurare che chi viene scelto dal popolo per governare possa farlo con un orizzonte di legislatura, e avere il tempo necessario per portare avanti il programma con cui si è presentato ai cittadini, perché il tempo, la stabilità di governo, è una condizione determinante per costruire qualsiasi strategia e dunque per restituire credibilità alle nostre Istituzioni agli occhi dei cittadini e restituire credibilità a questa Nazione con i suoi interlocutori internazionali.

Sono obiettivi di sistema, per noi irrinunciabili, e non sono, come è stato detto in molti interventi che mi hanno preceduto, nuovi nella storia repubblicana, a partire dai lavori dell'Assemblea costituente, e ricorrenti nel dibattito politico, parlamentare, costituzionale e accademico degli ultimi cinquant'anni. Ringrazio il Presidente Alfano per aver fatto una sintetica ricostruzione di questo ampio dibattito. Da cosa nasce questa esigenza di riforma? Da un problema che tutti, trasversalmente, riconoscono e che riguarda l'efficacia e il funzionamento della nostra forma di governo. Negli anni, autorevoli costituzionalisti e numerose Commissioni di riforma si sono interrogati su come assicurare stabilità e capacità decisionale al Governo, nel quadro di un robusto sistema di garanzie e contrappesi. Non si è mai riusciti a fare passi avanti, a trovare una soluzione, forse proprio per la tendenza ad approcciare queste materie, soprattutto da parte della politica, guardando al dito e non alla luna, all'attualità piuttosto che alla storia, all'interesse di parte in luogo dell'interesse del sistema.

Presidente Violante, io mi sono interrogata mole volte su come i miei avversari politici utilizzerebbero questa riforma se fossero al Governo, non mi spaventa e non mi preoccupa perché sono convinta della bontà di questa riforma. Ora mi prenderò qualche insulto per dirlo ma dal mio punto di vista la sto facendo per chiunque arrivi domani. Io non ho questi problemi oggi, questo è un Governo solido, stabile, io non avrei bisogno di fare questa riforma, è un rischio per me.

Ma se chi ha l'occasione per la prima volta dopo davvero molti anni di lasciare un cambiamento che possa domani essere utilizzato da tutti in positivo cioè la possibilità di avere chiaramente un mandato chiaro dai cittadini e avere la possibilità di avere cinque anni per realizzarlo, se io non lo facessi, non cogliessi questa occasione, non per me ma per chi ci sarà tra molti anni o nella prossima legislatura perché la politica è così, non sarei in pace con la mia coscienza.
Quindi sì, mi sono esattamente posta il problema di come può essere utilizzata da chiunque e penso che possa essere utilizzata da chiunque in positivo una riforma di questo tipo.

Nell'ambito di questo lungo dibattito, a me piace citare Costantino Mortati, uno dei padri del costituzionalismo italiano, che nei primi anni settanta diceva: "Non sembra dubbio che la preferenza debba andare alla elezione popolare del Primo Ministro, ciò soprattutto allo scopo di porre accanto a questo organo responsabile davanti al popolo dell'indirizzo politico di cui è espressione, un Capo dello Stato, che non desuma la sua investitura direttamente dal popolo".

Lo stesso ragionamento è stato fatto con accenti diversi da Bettino Craxi, che si era fatto promotore di una riforma in senso presidenziale. Penso alla proposta elaborata da Cesare Salvi, durante la Bicamerale presieduta da Massimo D'Alema, che aveva l'assenso dei popolari, della sinistra democratica e dei verdi, che prevedeva l'elezione diretta del Presidente del Consiglio. Non dimentico, ovviamente, il contributo, politico e culturale, che a questa causa ha portato, lungo tutta la storia repubblicana, la destra: dal Msi, passando per Alleanza nazionale, fino a Fratelli d'Italia.

Perché lo dico? Lo dico perché la proposta di un'elezione diretta del Capo del governo, a ben guardare, non è una proposta di destra e non è una proposta di sinistra. È una proposta che, pure con accenti diversi e soluzioni diverse, è stata sostenuta in modo assolutamente trasversale, anche da quelle culture politiche che ora ne parlano come se fosse la spia di un disegno intimamente autoritario.

Oggi leggo di leader politici che parlano di fermare la riforma con i loro corpi, e non so se lo devo leggere come una minaccia o come una sostanziale mancanza di argomentazione nel merito. Però è difficile. Faccio riferimento insomma al Prof. Clementi quando diceva dialogo. Certo, anche io preferirei, preferisco e farò quello che posso fare per lavorare a una riforma che abbia un consenso più ampio, ma quando la risposta è 'la fermeremo con i nostri corpi', professore la vedo dura. Nel senso che, se si ponesse una questione di merito, io posso nel merito rispondere, se si dice 'frapponiamo i nostri corpi', il merito è un po' più difficile.

E quando arriva questo genere di dibattito le scelte sono solo due: gettare la spugna o proseguire. Gettare la spugna è fare quello che è accaduto in tutti questi anni e quindi lasciare che il sistema rimanga quello che è, con gli italiani che lo pagano - e poi ci arrivo oppure, secondo quello che i padri costituenti hanno previsto, lasciare un'altra possibilità, perché è vero che i padri costituenti preferivano una riforma approvata a due terzi della maggioranza parlamentare, ma non hanno escluso che questo non accadesse. Cioè capivano anche lo stallo che poteva venire dalla tattica politica sulla riforma costituzionale. E io penso che di fronte alla tattica politica, il tentativo di chiedere agli italiani che cosa pensino di questa proposta che viene fatta per loro, se non si riesce ad approvare la riforma con i due terzi del Parlamento, debba essere esplorata. Del resto, certo che è sempre meglio non arrivare a un referendum divisivo sulla Costituzione, ma mi corre l'obbligo di ricordare che è la Repubblica è nata sul referendum divisivo, molto divisivo. È nata ed è stato un bene. Quindi è la democrazia. E i padri costituenti hanno previsto che questo potesse essere un modo per fare ciò che i cittadini a maggioranza condividevano anche quando le forze politiche non erano d'accordo a stragrande maggioranza.

Quindi, dicevamo che la proposta è stata fatta trasversalmente in questi anni, così come trasversalmente è stato riconosciuto da tutti come vi fosse un problema nel nostro sistema, cioè la debolezza della funzione di Governo, la sua tragica precarietà, che porta con sé come un domino diversi problemi che noi abbiamo conosciuto. Questo è un fatto testimoniato dalla storia e dai numeri: in 75 anni di Repubblica, in Italia si sono succeduti 68 governi, con 31 Presidenti del Consiglio; la durata media dei Governi è stata poco più di un anno. Vi basti sapere che con i suoi 564 giorni di governo oggi, attualmente il governo che io presiedo è il sedicesimo in longevità su 68 della storia d'Italia. Se questo governo arriverà alle elezioni europee sarà tredicesimo, se dovesse mangiare il panettone diventerebbe il sesto. Tanto è facile risalire questa illuminante classifica sulla durata dei governi nella storia d'Italia.

E qual è il problema? Ogni volta che il governo è cambiato, per un'altra tendenza che è un po' tutta italiana, si è anche ricominciato da capo su tutto, un po' per necessità e un po' per scelta. Questo non accade in altri sistemi dove su alcune grandi questioni fondamentali, indipendentemente dal mutare dei governi, le cose vanno avanti seguendo sempre una stessa linea. Da noi non è così, quindi noi dobbiamo anche valutare l'impatto che il nostro funzionamento ha su sul popolo, sulla realtà politica che siamo.

Si è ricominciato su tutto e chiaramente - come dicevo - questa instabilità a cascata porta con sé molti problemi importanti e significativi. Il primo è chiaramente l'impossibilità di perseguire qualsiasi strategia anche solo di medio periodo, fare qualsiasi riforma strutturale, cioè affrontare i problemi profondi di questa Nazione. Quando tu navighi a vista, non puoi permetterti di interrogarti su quale sarà il destino dei tuoi figli e dei tuoi nipoti, perché sei troppo concentrato a interrogarti su quale sarà il destino tuo. Quando il tuo orizzonte è troppo breve, non puoi permetterti di fare investimenti, sapete perché? Perché gli investimenti, che hanno un moltiplicatore, in termini di crescita, infinitamente superiore a quello che ha la spesa corrente, per dispiegare i loro risultati hanno bisogno di tempo. E questo è il motivo per cui in Italia gli investimenti non sono stati fatti e invece la spesa corrente ci ha portato ad avere il debito pubblico che noi abbiamo, perché quando l'orizzonte è breve, quello che io sono portato a mettere in campo è quello che mi dà un consenso nell'immediato. Lo abbiamo visto con una spesa sugli investimenti ferma e con un debito pubblico che generava consenso immediato alle stelle. E quando io un orizzonte breve non mi interessa chi pagherà quel debito pubblico. Qualcuno lo pagherà. Perché se dovessi ripagarlo io, probabilmente ci farai maggiore attenzione. E potrei fare decine di esempi come questo. È la storia italiana. È la storia italiana.

Il secondo tragico effetto dell'instabilità è la credibilità internazionale. Chi è esattamente che costruisce delle partnership strategiche quando l'interlocutore con il quale si siede cambia a ogni incontro? Perché anche questo purtroppo è accaduto. Come si fa a costruire una centralità, che consentitemi - è fatta anche di rapporti personali, è fatta anche di conoscenza dell'interlocutore, quando ogni dodici, diciotto, ventiquattro mesi al massimo, cambia tutto di nuovo? Anche qui, per costruire rapporti internazionali solidi serve costanza, serve conoscenza reciproca, serve attenzione, serve tempo. E i requisiti sono particolarmente più necessari oggi per quello che dicevamo prima: noi oggi non siamo più in un contesto internazionale, in un contesto globale, che ci consente leggerezza. Anche questo dobbiamo tenere a mente. Abbiamo attraversato una stagione molto più facile di questa, una stagione di pace, un mondo che con tutti i problemi che avevamo ci dava alcune certezze. Oggi quelle certezze vengono meno e di fronte a quelle incertezze costanti, di fronte ai rischi che noi corriamo, la leggerezza che delle volte abbiamo visto può essere davvero esiziale, può essere davvero drammatica.

Dopodiché aggiungo: chi è disposto a investire in una Nazione nella quale non c'è mai certezza su nulla? È un altro pezzo dei nostri problemi. Vi faccio un esempio che forse può rendere bene l'idea. In una delle ultime emissioni di titoli di stato italiani sui mercati esteri, c'erano dieci miliardi a disposizione, sono arrivate richieste per 155 miliardi. Perché l'Italia è diventata così appetibile? Chiaramente mi piacerebbe dire "grazie ai provvedimenti di questo governo", ma sono una persona troppo seria. Ci riguarda però, perché oggi l'Italia è percepita come una tra le Nazioni più stabili del panorama. Oggi le persone hanno sicurezza nell'investire da noi perché noi siamo stabili. Certo entra ala postura, i provvedimenti che il governo porta avanti, ma l'elemento della stabilità è quello che fa la differenza. E quindi quanto abbiamo pagato la nostra instabilità da questo punto di vista? E del resto si sa. Anche qui, basta guardare alla crescita del prodotto interno lordo. Alla crescita. Nei primi vent'anni di questo millennio, diciamo fino alla pandemia, Francia e Germania sono cresciute più del 20%, l'Italia è cresciuta meno del 4%. Ora ci sono solo due risposte a questa domanda: o tutti i politici italiani sono più scarsi di tutti i politici francesi e tedeschi- e io non lo penso - o c'è qualcosa che non funziona nel sistema. E quello che non funziona nel sistema è esattamente tutto il prezzo che noi abbiamo pagato per questo problema di instabilità che avevamo a monte. problema legato all'instabilità e la debolezza della politica

L'altro problema collegato all'instabilità è la debolezza della politica. Perché una democrazia possa funzionare sono necessari ma non sono sufficienti la partecipazione, la garanzia del pluralismo e i diritti, cioè la capacità della società di far valere le sue istanze nei confronti delle istituzioni. Alla "democrazia in entrata" occorre affiancare una "democrazia in uscita", cioè la capacità delle istituzioni di decidere e dare risposte ai bisogni dei cittadini quella che il Presidente Violante chiamerebbe "democrazia decidente". Chiaramente una democrazia instabile è anche una democrazia che non ha capacità decisionale, e finisce per essere una democrazia nella quale chi avrebbe il compito di rappresentare i cittadini e le loro istanze si trova ad essere più debole di poteri che non hanno quello stesso scopo, che siano le grandi concentrazioni economiche, che siano le burocrazie o che siano addirittura le lobby. E io capisco che chi ha esercitato il potere in luogo della politica oggi possa temere una riforma come questa. Lo capisco, ma non lo condivido. C'è una differenza fondamentale tra la politica e tutti gli altri mondi che possono credere di sopperire alla politica, che rispetto alla politica il popolo ha degli strumenti di giudizio. Io penso a che la democrazia si debba esercitare per il tramite della politica. Penso che il governo si debba esercitare per il tramite della politica. Penso che quando la politica è debole e altri poteri pensano di fare il bello e cattivo tempo, non necessariamente lo fanno nell'interesse dei cittadini, non fosse altro perché a differenza della politica non vengono giudicati dai cittadini. E quindi non mi colpisce, ma non lo condivido. Penso che sia un fatto che da troppo tempo la nostra democrazia ha difficoltà a portare avanti sulle politiche pubbliche che sono fondamentali per rendere effettive la libertà, i diritti, la solidarietà, la crescita economica e l'equità sociale, cioè i principi garantiti dalla nostra Costituzione.

Allora una riforma che assicuri governi eletti dal popolo, governi stabili, governi con un orizzonte di legislatura, secondo me è anche la misura più adeguata sul fronte dell'economia, sul fronte della giustizia sociale, chiaramente nella doverosa interlocuzione con tutti gli attori, nella doverosa interlocuzione con le parti sociali: il confronto, la capacità di concordare nel confronto progetti ambiziosi. Creare un quadro favorevole alla crescita chiaramente concorre a recuperare le risorse perché si possano declinare concretamente i diritti, sociali ed economici, che sono consacrati dalla Costituzione.

Allora 'come arrivare a questa democrazia' è la domanda che noi ci siamo fatti quando abbiamo scritto questa riforma. A mio avviso, una buona riforma deve sostanzialmente rispettare due esigenze. La prima è salvaguardare il ruolo degli organi di garanzia che il nostro sistema costituzionale delinea, a partire dalla funzione di arbitro super partes del Capo dello Stato. E penso che sia esattamente quello che fa la nostra riforma, perché è stata una scelta, non è stato un incidente, è stata una scelta di lasciare inalterati nei tratti fondamentali i poteri del Presidente della Repubblica.

C'è chi sostiene che il Presidente della Repubblica perderà la prerogativa di scegliere il Presidente del Consiglio e di decidere se sciogliere o meno le Camere. Ora mi permetto di segnalare che, già oggi, quando il sistema di governo funziona, cioè quando dalle urne escono maggioranze stabili, il Presidente della Repubblica recepisce le indicazioni che arrivano dai cittadini. Perché quasi quasi oramai si parla della figura del Presidente della Repubblica come se, indipendentemente dal voto, il Presidente della Repubblica scegliesse il Governo, ma non è esattamente quello che dice la Costituzione. Non è quello che fa il Presidente della Repubblica, mi pare. Quand'è che il Presidente della Repubblica è chiamato a esercitare in maniera un po' più estensiva il ruolo, appunto, di definire chi debba guidare il governo? Quando il sistema non funziona e quando il Presidente della Repubblica deve esercitare un ruolo di supplente di una politica incapace di decidere. E la necessità, che c'è stata in un sistema in cui la politica spesso non era capace di decidere, per il Presidente della Repubblica di esercitare quel ruolo di supplenza non rafforza la figura del Presidente della Repubblica, cioè non lo mette al riparo da critiche, che invece dovrebbero essere proprie del confronto e dello scontro della politica. Quindi noi non abbiamo aiutato l'autorevolezza della figura di garanzia del Presidente della Repubblica nel fare esercitare un ruolo che non spettava normalmente al Presidente della Repubblica, ma spettava a una politica incapace di esercitarlo. E quindi qui noi parliamo di una riforma che può meglio definire una cornice in maniera tale da non costringere il Presidente della Repubblica ad esercitare un ruolo che non gli è proprio e che ne può indebolire - chiaramente facendo tirato in mezzo nel dibattito politico - l'autorevolezza. Quindi perché? Perché la riforma chiaramente si pone l'obiettivo di evitare le fasi di stallo e di assicurare che il sistema sostanzialmente funzioni sempre, eliminando a monte le cause che richiedono di attivare questa funzione supplenza da parte del Presidente della Repubblica.

Si detto e è scritto, anche, che il Capo dello Stato sarebbe troppo debole per "contrapporsi" ad un Presidente del Consiglio che, in quanto fortemente legittimato dal popolo, potrebbe sentirsi spinto ad abusare della propria forza. Io penso anche qui che sial'esatto contrario. Penso che proprio quando il Presidente del Consiglio dovesse ritenere di dover utilizzare la propria forza e lì che si manifesta il ruolo preminente super partes di garante della Costituzione che rimane in capo al Presidente della Repubblica e scattano gli altri meccanismi di limitazione del potere che operano nel sistema.

Io penso che questa proposta assicuri diciamo la corretta ripartizione dei ruoli che viene sancita dalla Costituzione, in virtù della quale il Governo e le Camere determinano l'indirizzo politico e il Capo dello Stato esercita la funzione di garanzia, mettendo fine a sovrapposizioni che nella nelle nostre debolezze, nelle nostre difficoltà a volte hanno creato più problemi che soluzioni.

Dopodiché, gli emendamenti approvati in Commissione al Senato rafforzano le funzioni del Presidente della Repubblica: la modifica del procedimento di elezione, l'introduzione di atti sottratti alla controfirma ministeriale e l'attribuzione di nuovi poteri, come il tema della revoca dei ministri.

Dunque io credo che - chiaramente non parlo degli autorevoli esponenti e delle loro autorevoli valutazione del dibattito di oggi, ma nel dibattito politico - questo nascondere, questo schermarsi dietro il Presidente della Repubblica nella campagna contro la riforma costituzionale è come se si fosse studiata una strategia che poi non si è fatto in tempo a correggere. Se devo dire quello che vedo. Ma nel merito della riforma non mi sembra oggettivamente che la riforma preveda questo.

L'altra esigenza, simmetrica alla prima, che ogni buona riforma deve rispettare è la salvaguardia del ruolo del Parlamento. Anche su questo punto, c'è chi sostiene che la nostra proposta di riforma indebolisca le Camere. Io non credo che riforma indebolisca le Camere, credo che la riforma indebolisca il trasformismo, e penso che il trasformismo abbia le Camere e la credibilità delle Istituzioni. E che quindi indebolendo il trasformismo non si indebolisca affatto il Parlamento, lo si rafforza agli occhi dei cittadini e lo si rafforza nella sua funzione, che è la funzione legislativa.

Poi anche qui noi siamo stati attenti a non toccare alcune prerogativa importanti. Il presidente Violante poneva un tema interessante che quello della fiducia del Parlamento. È corretto. La fiducia in Parlamento, che non è stata una richiesta del secondo partito, altrimenti su questo farei la vaga, come si dice a Roma, ma in questo caso non è stata una richiesta del secondo partito. Noi abbiamo pensato che fosse comunque corretto, anche, in Repubblica parlamentare presentarsi al cospetto delle Camere per dare la fiducia al governo. Questo sì. Per cui non è vero che la riforma promette una cosa che non fa, la riforma promette una cosa che fa. L'elezione del Capo del governo. Chiede al Parlamento, per il ruolo anche che il Parlamento ha, di dare la fiducia al governo, non al Presidente del Consiglio in quanto singolo che ha già la legittimazione popolare, ma al governo nel suo complesso.

Dopodiché, dicevo, la forza del Parlamento è nella sua funzione legislativa e oggettivamente è stato detto in più interventi, lo diceva correttamente anche Angelino Alfano - da anni il Parlamento ha difficoltà ad esercitare la sua funzione legislativa per colpa della debolezza complessiva del sistema. E quindi il tema dell'uso eccessivo della decretazione d'urgenza, problema che ha riguardato trasversalmente tutti i governi, nonostante i moniti di tutti i Presidenti della Repubblica che chiedevano un ricorso minore alla decretazione d'urgenza, ma di fatto, se si vuole dare delle risposte, alla fine il tema del ricorso alla decretazione d'urgenza torna e, nel ricorso eccessivo alla decretazione d'urgenza, lo spazio di iniziativa legislativa del Parlamento quello sì, viene meno. Questo è un tema che mi interessa. Questo è un tema che mi interessa nel senso che io penso, da questo punto di vista, che sarebbe molto interessante se i partiti nel dibattito parlamentare volessero porre questa questione, ragionare invece di come rafforzare l'iniziativa legislativa, il ruolo legislativo del Parlamento. Questo è un tema che mi interessa molto. Parliamone, perché è corretto costruire dei contrappesi. Io non sono affatto contraria a entrare nel merito se c'è un merito di proposte che vengono fatte anche su questo su questo campo. E anche perché, mi perdonerete, ma faccio da un anno e mezzo il Presidente del Consiglio e credo aver fatto per dieci anni il parlamentare d'opposizione, quindi la mia dimensione è ancora più propriamente quella di chi stava dalla parte di chi subiva la decretazione d'urgenza, figuriamoci se non capisco questo tempo. Però non diciamoci che fino ad oggi il Parlamento è stato forte e adesso la riforma lo vuole indebolire, perché stiamo dicendo una cosa che non è corretta. Il Parlamento è purtroppo stato privato di buona parte delle sue della sua prerogative in termini di iniziativa legislativa per un malfunzionamento del sistema. È una questione che tutti conosciamo, che tutti abbiamo denunciato e che sì, secondo me, questa riforma in parte risolve.

Dopodiché c'è un tema che riguarda i regolamenti parlamentari, ma non posso entrarci io come capite bene. Io penso che una riforma finalmente seria e approfondita dei regolamenti parlamentari - questo lo dico dalla mia ex veste di Vice Presidente della Camera - sarebbe molto preziosa. Ma davvero lo dico come auspicio, consiglio, perché non sia mai che mi che si dica che mi voglio occupare di materie che minimamente competono al Presidente del Consiglio.

Così come una riflessione necessaria ovviamente deve riguardare il tema delle leggi elettorali. Ora su questo punto io non intendo dire molto, sono convinta che faremo un buon servizio alla Nazione, se accompagnassimo questa riforma con una legge elettorale che ricostruisca il rapporto eletto-elettore e che consolidi la democrazia dell'alternanza.

Presidente Violante, credo di essere stata in diversi anni la Presidente dell'unico partito che ha avuto coraggio per presentare emendamenti che reintroducevano la preferenza per l'elezione dei parlamentari. Non sono mai stata contraria, anzi. Anche qui, una parte della debolezza del Parlamento, alla fine, è stata figlia di questo, perché cambia inevitabilmente se dipendi dal cittadino che ti elegge o dal segretario di partito che ti indica. Cambia il funzionamento. Poi possiamo discutere: cambia meglio, cambia peggio. Possiamo discutere sulle degenerazioni che sono legate spesso alla ricerca del voto di preferenza che purtroppo tutti sperimentiamo in ogni elezione. Possiamo discutere dei contrappesi delle necessità delle correzioni. Sul piano filosofico cambia l'approccio. E quindi io sono anche su questo totalmente aperta e disponibile.

E quindi concludo perché davvero mi sono dilungata molto. Io penso che nel proporre al Parlamento un'ipotesi di riforma che rispetta una sensibilità diffusa, abbiamo fatto il nostro lavoro. E penso che abbiamo fatto anche quello che i cittadini ci hanno chiesto di fare, perché questo tema c'era nel nostro programma elettorale. Io penso che quando si arriva al governo, si abbia come principale compito - nei limiti di quello che è possibile - realizzare il proprio programma elettorale. Anche ai fini del dialogo con le forze politiche, vorrei concentrarmi su un elemento che nessuno considera mai: noi abbiamo proposto una riforma che di fatto, come ho detto, risolve alcuni dei grandi problemi strutturali di questa Nazione - io per questo la definisco la madre di tutte le riforme, cioè è la riforma dalla quale dipende la possibilità di fare seriamente tutte le altre - e lo abbiamo fatto toccando sette articoli della Costituzione. Eravamo partiti da quattro, poi nel dibattito parlamentare sono diventati sette. Lo abbiamo fatto in punta di piedi. Non abbiamo fatto una riforma che entrava a gamba tesa, riscriveva la Costituzione, stravolgeva la Costituzione. No, no. Ci siamo posti il problema di come garantire un funzionamento del sistema lasciando sostanzialmente intatta la Costituzione. Ed è stata una scelta politica, di dialogo, perché io ero partita da un sistema presidenziale alla francese. Poi non entro nel merito del tema del ballottaggio, in Francia il sistema è più forte, più debole, perché per il Presidente Violante siamo qui fino alle dieci di sera: è un dibattito molto affascinante che mi è capitato di fare al tempo con Enrico Letta, quando era segretario del Partito Democratico. Però al di là di questo, io ero partita da un altro schema. Abbiamo incontrato le forze politiche, abbiamo cercato di capire quale fosse l'umore e tutte le forze politiche ad esempio dicevano "il Presidente della Repubblica non si tocca". Chiaramente se non posso toccare il Presidente della Repubblica, il semipresidenzialismo alla francese se lo presento diventa una proposta divisiva. E quindi noi abbiamo scritto una riforma che, punto primo, già prendeva in considerazione il dibattito che c'era stato - ricorderete che abbiamo fatto proprio le consultazioni con le forze politiche e, punto secondo, cercava di entrare in punta di piedi nella Costituzione, pur facendo una grande rivoluzione per il nostro sistema. Consideravo già questo un elemento di grandissima disponibilità al dialogo. Non è stato colto. Mi corre l'obbligo che siamo lì a fermare i corpi con i corpi e quindi diciamo che non è stato colto. Ma questo era il segnale. Quindi la scelta ora è nelle mani del Parlamento. Nel merito, anche su molte cose che ho ascoltato oggi e che mi sono appuntata, sono sempre disponibile a dialogare, purché l'intento non sia dilatorio, purché l'intento non sia quello che tante volte abbiamo visto in questi Parlamenti, le Commissioni bicamerali, si parla, si discute tre anni e non se ne fa niente. Arrivederci è finita la legislatura perché intanto puntualmente cadeva il governo. Le cose che abbiamo visto. No.

Io spero che questa riforma possa, anche nell'interlocuzione, anche dialogando nel merito, arrivare a una maggiore condivisione, addirittura a una maggioranza dei due terzi. La parola oggi è nelle mani del Parlamento, se questo non accadrà la parola andrà agli italiani, come prevede la nostra Costituzione. E anche lì, saranno gli italiani - e chiudo davvero - a dirci se ritengono che il sistema che abbiamo provato a disegnare sia migliore o se sia migliore tenerci la realtà che abbiamo conosciuto in questi anni.

E guardate, a chi immagina uno scenario simile a quello che abbiamo visto in altri anni su referendum confermativi delle riforme costituzionali, è un errore la personalizzazione, perché questa riforma non riguarda il presente, riguarda il futuro. Non riguarda la sottoscritta. Dico di più: non riguarda neanche il Presidente Mattarella che viene continuamente tirato in ballo sulla vicenda perché, se andiamo a fare i calcoli dell'entrata in vigore della legge, riguarda un altro mondo, un futuro ipotetico che riguarda tutti. Per questo vale la pena di provare a discuterne nel merito, invece di personalizzare sempre tutto e personalizzare anche questioni di sistema come se fossero banale attualità. Io non ho avuto problemi a votare il taglio del numero dei parlamentari. Era all'opposizione del governo, l'ho votato in aula. Qualcuno mi chiamò e mi disse "ma, cosa possiamo fare?". Non voglio niente condivido. Ci sono questioni sulle quali l'opposizione fine a sé stessa non serve a niente. Poi si può discutere "abbiamo fatto bene, abbiamo fatto male". Io sono ancora convinta, si poteva fare meglio, ma ero convinta del principio di tagliare il numero dei parlamentari. L'ho condiviso e l'ho votato, non ho chiesto niente in cambio.

È possibile che in Italia non si riesca mai a discutere delle grandi questioni così, con questo approccio? Perché alla fine tutta questo gioco tattico non lo pagano le forze politiche, lo pagano, i cittadini e lo paga la credibilità delle Istituzioni, quindi diciamo sì anche la politica, ma da un altro verso.

E chiaramente quando arriverà il referendum, se dovesse arrivare un referendum, allora l'ultima parola ce l'avranno gli italiani, perché alla fine la Costituzione non è mia, non è dell'opposizione, non è di questo governo, non è dei governi precedenti. Come ci siamo detti finora e come penso che tutti condividiamo dentro fuori a questa splendida sala, la Costituzione è di tutti. Quindi prima di tutti, è del popolo italiano".

Redazione PrimaPagina

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